giovedì 27 giugno 2019

Il mio amore, il suo terrore

E' successo ancora.
Sempre la stessa storia.
Dovrei lasciare la mia vita nelle mie mani, ma non imparo mai.

Sono bella, o così dicono tutti. La mia pelle è nera come l'ebano, morbida, senza imperfezioni. Anche i miei capelli sono neri, con delle striature di rosso che al sole sembrano risplendere. Mi vesto elegante ma semplice, mi muovo aggraziata come una danzatrice, eppure gli uomini più grandi di me se ne vanno con uno sguardo spaventato in volto, mi guardano e mi vedono pericolosa. Mi trattano come veleno e non ho fatto niente per meritarmelo.
Lui no però. Lui mi ha accolta e mi ha guardata. Mi ha capita. Penso fosse la prima vera volta nella mia vita in cui ho sentito di essere innamorata di qualcuno. Io d'altra parte non so cosa sia l'amore, sono cresciuta da sola, mi sono fatta da sola, cambio casa una volta al mese, non ho punti fermi. Ma quando quella sera mi ero persa, lui è stato come una luce per me. Mi ha guidata a casa sua, si è presentato, mi ha lasciato perfino una stanza.
Mi ha dato da bere, offerto del cibo, e mi ha perfino dato la buonanotte.
Ma io ancora non mi fidavo, dopotutto sembrano meravigliosi all'inizio…e poi scopri chi sono davvero.
Lui però sembrava così diverso.
Quando la mattina dopo mi sono svegliata mi sono sentita cogliere dal terrore, ho pensato di essere finita in mano a un maniaco, dovevo essere davvero stupida e stanca la sera prima per accettare quella stanza, quell'ospitalità, per dire di sì.
Ma dentro di me sapevo che se avevo detto di sì, se mi ero lasciata guidare oltre quella porta era perché avevo sentito quanto fosse giusto.
E lui, dio. 
Dio, era incantevole.
Emanava bellezza in ogni cosa che faceva. Profumava di miele e mi incantavo per ore a guardarlo mentre si pettinava i capelli, si metteva l'olio profumato sulla barba, si lavava i denti meticolosamente…amavo perfino il modo in cui teneva la forchetta, con tutto il pugno come fanno i bambini. Quando era stanco si metteva a leggere e lasciava che il libro lo accompagnasse nel sogno, e a volte si muoveva a scosse durante la notte facendomi sobbalzare e svegliare a mia volta.
E lui teneva a me. Cucinava le cose più buone e mi lasciava sempre un pezzo della sua porzione, perché sapeva che preferivo mangiare ciò che era stato toccato da lui. Mi raccontava la sua vita, dov'era stato, com'era stata la giornata al lavoro. Ero la sua confidente, la sua amica, la sua compagna in quella vita solitaria. 
Lo amavo.
Non ho mai voluto invadere i suoi spazi, giuro. Avevamo fatto un patto: io potevo stare da lui, ma non dovevo toccarlo. Aveva dei problemi al riguardo, ma andava bene per me, d'altronde ero praticamente una sconosciuta benché mi ospitasse a casa sua. Suppongo che i miei sentimenti nei suoi confronti gli fossero oscuri, altrimenti non si spiega perché abbia fatto quel che ha fatto quella sera.
Se ne stava sul divano da ore, lo sguardo fisso sui programmi stupidi che per qualche motivo lo facevano ridere. Io volevo parlare, volevo raccontargli la mia giornata, e quindi.
Sono andata accanto a lui e gli ho toccato la mano. Gliel'ho solo sfiorata, giuro.
Si è voltato all'improvviso e mi ha guardata in quel modo. 
Come mi avevano guardata tutti gli altri prima di lui.
Si è alzato di scatto e mi ha urlato contro, e mi è arrivato il primo schiaffo, che mi ha fatta crollare a terra senza respiro.
Poi mi ha sollevata, ha aperto la porta di casa e mi ha lanciata via.
Lanciata, sì. Come una vecchia scarpa, come un oggetto, qualcosa che non vale niente.
Poi ha sbattuto la porta. Qualche vicino ha guardato la scena incuriosito ma è tornato subito a fare ciò che stava facendo, come se io non fossi per terra, su quel portico, con un attacco di panico in corso.
D'un tratto non me ne fregava più niente. Il respiro si è fatto calmo, i miei occhi sono tornati di quella freddezza che mi contraddistingue.
Ho aspettato che facesse buio, e poi sono entrata dalla finestra. Sapevo che non le chiudeva mai, e forse credeva che non mi sarei mai più fatta rivedere. Beh, sbagliava.
Per un po' l'ho guardato dormire, cercando in me quell'amore irrazionale che avevo provato fino a qualche ora prima. Ma ho trovato solo odio e sete di vendetta. Tradimento e rancore. Disperazione e forza.
Mi sono avvicinata in silenzio, in punta di piedi. Gli ho dato un ultimo bacio, e poi l'ho guardato morire.
E' diventato di pietra, i suoi versi somigliavano meno a qualcosa di umano e più a un animale, ed è allora che mi ha vista accanto a lui. Ha capito. Ha cercato di sollevare una mano, ma è caduto dal letto e ha esalato l'ultimo respiro.

Me ne sono andata, ho cambiato di nuovo casa. Nessuno mi troverà mai.
Ogni tanto penso a lui. Mi chiedo se, almeno nella morte, io possa perdonarlo.
Ma non è nella nostra natura.
Siamo fatte per l'amore e per la distruzione, in mezzo non c'è niente.
Sono così terrorizzati dalla nostra esistenza che hanno dato un nome a quella paura.
E' un nome elegante, come noi.
L'hanno chiamata aracnofobia.