mercoledì 22 aprile 2015

La scatola degli animali morti

Sì, sono consapevole della crudezza del titolo ma non è esattamente quello che sembra.
Uno dei miei scrittori preferiti (sul web), anni fa scrisse una cosa molto bella sul fatto che lui da piccolo teneva una scatolina con dentro centinaia di ritagli di animaletti presi dai giornali. Non guardava mai quella scatola, stava da anni sotto l'armadio a prendere polvere. Eppure, quando la cuginetta la aprì e distrusse tutti i suoi ritagli per gioco, lui passò una nottata a rincollarli tutti insieme e disperarsi. Una volta suturati gli animaletti, rimise la scatola al suo posto e non la riaprì mai più.
Perché ci ostiniamo a volerci portar dietro le nostre personali scatoline di animali morti? Non so da dove venga questa prigrizia mentale o drammaticità che ci porta ogni volta a subìre le conseguenze della nostra stessa mente e ci fa ingigantire tutto, anche quelle cose talmente piccole che neanche si vedono. Ma perché abbiamo bisogno di inventarci i drammi? Perché vediamo cose che non esistono e lottiamo per il niente?
Combatto con questo modo di fare da una vita, perché io per prima sono sempre riuscita difficilmente a rinunciare alle mie scatoline di mostriciattoli deformi e deceduti, spiegazzati e tagliuzzati. Ognuno ha un Frankenstein dentro di sè, che si ostina a voler a tutti i costi riparare qualcosa di ormai morto, o distrutto, o incapace di funzionare.
Ce ne stiamo lì come dei deficenti a farci in quattro per qualcuno o qualcosa che invece si fa un quattro per qualcos'altro, che neanche li vede quegli sforzi, anzi magari ci prende pure in giro dentro di sè per la pateticità della cosa.
Io sono convinta che rinunciare alle nostre scatoline sia un po' come quando ti metti a rifare la camera, trovi un sacco di cose inutili e non riesci a buttarle via, con la convinzione che un giorno potrebbero tornarci utili...poi, una volta che getti via quello che non ti serve, quello di cui non hai bisogno, è come tirare un respiro profondo dopo essere usciti da una stanza piena di fumo: straordinariamente appagante.
La base per affrontare la rinuncia, il distacco, per arrivare alla consapevolezza che tutto nella vita è momentaneo e quasi mai stabile, è solo la capacità di stare da soli.
Banale, forse...eppure, quando c'è qualcosa che non capisco o che mi fa star male ho imparato a staccarmi dal resto e stare solo con me, una cosa che a molti fa paura proprio per quel drammatico vizio di ingigantire i problemi minuscoli e vedere le cose in modo distorto...ma aiuta, davvero. Nessuno sa ciò che vuole, ma stando soli si impara a capire ciò che non si vuole.
Io personalmente voglio stare bene. Voglio persone costanti, persone che siano come me e che, pur essendo diversi per tante cose vogliano avermi vicina, sentirmi, vedermi, conoscermi. Voglio persone di cui potermi fidare, non più affidare.
Ho imparato faticosamente a buttare via le mie scatole di animali morti.
Le guardo affondare, mi faccio un piccolo pianto e poi torno alla mia vita, torno alle cose che meritano considerazione e alle persone che meritano la mia amicizia, la mia lealtà e il mio amore.
E mi rende un po' triste la mia capacità sempre maggiore di riuscire a mettere una pietra sopra a tutto ciò che non riesce a guadagnarsi ciò che ho da dare, ma ne sono anche grata.
Tutti sanno parlare bene ed io per troppo tempo mi sono fatta confondere e abbindolare dalle parole e dalle promesse, e ho capito tardi che c'è una differenza enorme tra chi dice di volerti bene e chi te ne vuole davvero, e quando capisci l'abisso che separa le due cose diventa molto facile buttar via quelle scatoline.

Nonostante ciò, tanti non capiscono che dire addio non vuol dire per forza andarsene. Quella, spesso è solo la strada più facile per non vedere, un po' come lo struzzo che mette la testa sotto la sabbia quando ha paura. I veri addii sono silenziosi.
No, non mi perdi quando ti chiudo fuori, mi perdi quando ti faccio restare ma smetto di guardarti.

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