giovedì 27 aprile 2017

Il fattore di rischio

A volte ho bisogno di piangere, magari per strada, magari nella mia stanza. Quando succede fuori la gente mi guarda come se fossi un'aliena o un'appestata, in alcuni casi come se fossi un ordigno pronto ad esplodere, in pochi con tenerezza e rispetto. Ma io ne ho bisogno, perché così posso capire, posso analizzare la situazione, posso buttare via il superfluo e ragionare con lucidità. Molti credono che io sia una persona estremamente emotiva e poco incline alla razionalità, mentre invece mi interrogo sempre, mi faccio mille domande, cerco di rispondere a tutte spesso ingarbugliandomi e non trovando più la fine di quell'incessante gomitolo che è la mia testa. In questi casi c'è la mia psicologa, che dice sempre la cosa giusta per farmi sbrogliare il gomitolo. L'altra volta mi ha detto che io ho problemi ad accettare l'impossibilità delle cose.
Ho problemi quando non posso avere quello che voglio, quando non raggiungo i miei scopi. Mi butto giù, mi rattristo, cado in un metaforico baratro buio e mi entrano i sensi di colpa (senza alcuna ragione). Così mi sto allenando. Come disse Moro: "che io possa avere la forza di cambiare ciò che posso cambiare, e la pazienza di accettare ciò che non posso cambiare, e l'intelligenza di saperle distinguere."
La verità è che su certe cose non si ha alcun potere. Ci siamo così abituati alla finta onnipotenza umana, al fatto che solo noi -che alla fine siamo solo scimmie evolute spelacchiate- abbiamo saputo piegare il mondo circostante come lo volevamo, creando cose che non esistevano prima, dando delle regole all'universo, ci siamo così abituati a tutto questo che ci sfugge profondamente il nostro essere piccoli, minuscoli nell'universo, il nostro essere impotenti di fronte alla natura, allo scorrere della vita, al mondo. Ci dimentichiamo la nostra mancanza di potere in ogni campo, quando non riusciamo ad avere ciò che desideriamo. Ci dimentichiamo la nostra impotenza quando qualcuno ci dice che non ci ama più, che non vuole stare con noi. E noi lì a interrogarci, psicanalizzare, battere la testa sul muro, senza capire. Perché? Che ho fatto? Non sono abbastanza? Ma ce l'ho messa tutta, ci ho messo il cuore, perché non è andata? Che posso fare per farla andare bene? Che posso fare per piegare gli eventi a mio favore?
Nulla. La risposta è nulla. Non puoi fare nulla, perché non hai nessun potere, come non lo ha l'umanità intera di fronte a uno tsunami, o a un terremoto o a un'eruzione. Certe cose ci sfuggiranno sempre, per sempre, e lo dobbiamo accettare.
Come diventiamo piccoli, davanti a qualcuno che non ci vuole. Cerchiamo tremila cause, tremila soluzioni, cerchiamo di lanciare un arpione a un tetto che in realtà non ha appigli, è piatto. E continuiamo a lanciare, fondamentalmente perché quel tetto non lo vediamo che è piatto, pensiamo che da qualche parte debba pur esserci un punto, uno solo, un minuscolo puntino dove far cadere il nostro arpione e arrivare lassù. Perché non ci viene in mente che sia semplicemente impossibile arrivarci, che abbiamo sbagliato tetto, che basterebbe smetterla di sprecare energie per una cosa che non funzionerà mai.
Ecco il difficile. Realizzare che di fronte a tante cose siamo impotenti.
Smetterla di provarci. Smetterla di faticare. Perché anche se la sorellastra di Cenerentola si taglia il calcagno e fa entrare così la scarpetta nel suo piede, è comunque il piede sbagliato, e si scopre. Dobbiamo davvero fare così? Tagliuzzarci per essere qualcosa di diverso da come siamo, annullarci pur di non decretare la parola "fine", pur di non dire "non funziona". Ce ne inventiamo mille, come uno che per non chiamare l'idraulico continua a mettere secchi sotto la perdita, e continua e continua e continua, e un giorno si dimenticherà quel secchio e la sua casa si allagherà, e la perdita non si chiuderà mai da sola.
A volte non funziona.
A volte non funziona perché manca l'amore da una parte, perché si è incompatibili su ogni cosa, per circostanze esterne. E allora uno si deve mettere il cuore in pace e andare avanti per la sua strada, orgoglioso di come è ma pur sempre aspirando ad essere ogni giorno migliore del sé stesso del giorno prima.
Io voglio questo, per me.
Voglio ascoltarmi sentirmi dire le cose giuste, voglio superare i miei limiti e le mie paure e le mie insicurezze. Voglio saper accettare ogni fine, ogni cosa che non posso cambiare, voglio accettare di poter essere piccola e impotente e non per questo dovermi sentire meno grande o infinita.
Voglio amare senza avere l'apnea, senza soffocare, voglio amare respirando a pieni polmoni, avendo un braccio più, avendo qualsiasi cosa in più. Voglio amare dando tutto, ma senza mai smettere di custodirmi. Voglio amare con tutti i miei organi, non solo con il cuore o col cervello. Voglio far crescere fiori eterni con il mio amore. Voglio che la vita sia l'acqua che li fa crescere, con me o senza di me. Voglio un amore così, profondo, reale, onesto.
E io lo devo capire.
Lo devo capire che a volte non abbiamo il controllo di nulla. Che non tutto dipende da noi, che non siamo Atlante che regge il mondo sulle sue spalle. Che non è colpa nostra, che va bene. Che è normale.

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